martedì 6 ottobre 2015

Ciuf, ciaf.


È questa la soglia tra la realtà e la finzione, è a questo punto che dovrei ritrovarmi? Sbatto la testa più forte che posso. È tutto vero? È tutto finto? Mi chiedo se davvero sto cercando te oppure se questo è soltanto un modo per trovare me stesso, quello che non ho mai avuto il coraggio di essere, quello che mi costringo a cercare. Sbatto la testa perché voglio capire se è tutto vero e a quanto pare lo è. Sembra che io stia davvero camminando verso qualcosa, sembra che io sia qui, realmente. Le luci dei lampioni sbattono contro la notte, il rumore della città scivola su di me e cerca di scuotermi, lo fa perché ne sente il bisogno, perché il suono si scaglia contro chi non sente rendendolo cosciente del suo problema, suona forte per me che mi rifiuto di sentire. Comunque io non mi muovo, perché non ho mai sopportato questo obbligo, questa necessità di correre contro il tempo per acchiapparlo, infondo questo non mi ha mai reso tranquillo. Alla fermata di un treno in una città che urla non si vede nessuno, apparte una donna con un cappello rosso. Nel bar in una via che non ha nome non c'è anima viva, apparte un vecchio con una valigetta verde. Colori che sbattono, anime che scivolano. Questa sera sono malinconico e forse è proprio per questo motivo che non riesco a vedere e a sentire. Sono in preda ad uno stato d'animo che porta in superficie solo le tonalità più accese, quelle che hanno deciso di esserci senza motivo, quelle che stanno lì senza chiedere il permesso. Quella donna e quel vecchio. Due inutili schizzi di luce che non servono, ma ci sono. Forse se piovesse tutto questo avrebbe più senso. Non trovarti rende le cose ancora più interessanti, rende interessante addirittura la pioggia ed io l'ho sempre odiata. Se in questo momento incominciasse a piovere mi convincerei che esiste un linea che collega il mio umore al meteo e allora mi sentirei importante come uno che guardando un quiz show in televisione da la risposta giusta prima del concorrente, direi "vedete, io lo sapevo già". Che cosa ridicola. C'è a chi piace la pioggia, chi ci sguazza dentro stringendosi in coperte di lana e thè ai frutti rossi davanti a un film buio con qualche battuta senza ironia. Ma a me non sono mai piaciuti, né i frutti rossi né tanto meno le coperte di lana. A questo punto non mi ricordo nemmeno più perché sono partito. So chi sto cercando ma perché? Ho scelto il giorno, il modo, il mezzo e il tragitto, deciso, convinto, anche in parte entusiasta. Poi piano piano qualcosa si è persa per strada. Sono quasi convito che questa mia decisione improvvisa sia stato un altro atto di un incosciente egoista che prova a fare l'altruista. Ero partito per te e adesso cerco me. È proprio questo che mi rende infelice questa notte. Sono vuoto perché mi sto preparando a sentire le parole della città. Per esempio, adesso, mi sembra di sentire il treno che fischia, il vento ha fatto volare il cappello di quella donna, il vecchio invece beve una grappa barricata mentre un uomo gli porta via la valigetta. L'ho visto, l'ho sentito.


“...un sentimento semplicissimo, quello di essere al mondo, esistere, esserci, nient'altro" (R. Frank)

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