giovedì 16 novembre 2017

Rientrare



È così che si va lentamente verso le distese di sorrisi inesperti. 
Così come le mie mani aperte che catturano i tuoi ritorni, le tue stanze si spalancano e lasciano entrare la neve.
Siamo così, neutrali e di parte, la nostra immensa parte di fiume. Risuonano le nostre faticose colline di ragioni insieme alle le tue incredibili polveri d’amore.
Seta di sassi che stancamente sta.
Restiamo e andiamo e l’acqua e noi e i vortici e il vento e la pace e poi noi.
Ritorni come fanno le case, rimetti la legna nel fuoco, riempi di calma le finestre. Ritorni e vai e la sabbia e noi e la fame e la ghiaia e la brina e poi noi.
Le parole che sanno fare, così tu, e io, e le cose infinitamente dette e mai sazie.
È così che si procede ripetutamente verso chi resta e se ne va.
È così che mi addormento in questo letto di per sempre e mai. 

lunedì 23 ottobre 2017

Imperfettamente






Se fosse stato possibile spiegare qualcosa a Eva, giuro che l’avrei fatto.
Avrei preso tutto il fiato possibile e le avrei detto che in questa vita, non conoscevo altro che lei.
Le avrei detto che le strade immense che abbiamo percorso insieme erano state faticose. Che le ragioni del cuore spesso ti fanno fare dei giri vorticosi e che non bisogna mai fermarsi. Bisogna andare, sempre. Le avrei ricordato, ogni giorno, che le mie spalle erano state messe al mondo per sorreggerla, che nessuno si salva con poco, che qualcuno ce l’ha fatta vendendo il suo tutto. Avrei speso l’oro del vecchio mondo per pagare la sua rinascita. Avrei costruito tante stanze, tante grotte, tante navi. Avrei ucciso il mio buio e l’avrei trasformato in un bel posto. Avrei creato con le mani i sentimenti per poterle far vedere che esistevano, che non erano supposizioni, che erano proprio lì, “apri la mano”, erano lì, non avrebbe potuto non vederli. Avrei preso quelle sensazioni e le avrei posate sulla sua pancia e poi le avremmo accarezzate insieme. Insieme, ovunque. Nel mare, sotto le montagne, sopra le cicatrici. Le avrei sussurrato l’amore senza mai alzare la voce così come si fa con le creature autentiche che hanno i timpani puri alle quali bisogna mettere le mani sulle orecchie quando tira forte il vento.
Se fosse stato possibile raccontare a Eva la storia del nostro amore, giuro che l’avrei fatto.
Se fosse stato possibile toglierle la pelle rovinata dalle correnti devastanti che l’avevano lasciata sulla mia riva, l’avrei spogliata e l’avrei coperta con il mio involucro che da secoli aspettava soltanto lei.
Se solo fosse stato possibile, io, giuro, che l’avrei fatto.

sabato 30 settembre 2017

Soffia, scorre


Quando non ero preparata e il tuo fiato ha nutrito il mio, non c'erano scuse, non eravamo previsti.
Non erano stati rifatti i letti e al nostro arrivo nessuno ci aveva fatto trovare gli asciugamani puliti. Poi le stagioni sono passate veloci e tu sei rimasto lo stesso intorno a me ma non dentro. Come quando arriva la pioggia e se ne va subito. Resta l'odore ma non il bagnato. Così tu, profumo intenso e niente più. Quello che potevi, in modo silenzioso. Come quell'acqua che cade dal cielo che scompare e non fa in tempo a lasciare il segno. Ma qualcosa, resta. Così tu, nelle linee sottili che collegavano le nostre primavere e i nostri autunni, hai saputo colpirmi senza marchiarmi. Un segno leggero, la pioggia che non pesa sulla testa, e sul cuore. Nessuno sapeva cosa succedeva in quei letti lontani che accoglievano la nostra pelle. Nemmeno noi. Noi che non sapevamo di essere noi ma che non potevamo fare altrimenti. Noi che non sapevamo fare l'amore e abbiamo dovuto impararlo, teneramente, senza manuali. E quegli inverni, quelle estati senza tempo che ci hanno regalato i migliori vizi, le più grandi promesse. Quei lamenti e quei respiri lunghissimi, nostri. Le parole dentro gli occhi e tutte le dita che ricamavamo cerchi in aria. Cerchi immensi, cerchi che ti chiudono e non ti fanno uscire più. Cerchi che quasi quasi non torniamo a casa e moriamo qui. Ritrovo oggi il tuo segno nella parte sinistra del mio corpo. Non era previsto ma lo hai lasciato ed io lo custodisco, gelosamente, timidamente, per tutte le ore che saranno anche le tue in questa vita e chissà in quale altra.

giovedì 28 settembre 2017

Il vostro tempo, il mio.



Una donna sale e scende le sue scale.
Le copre con l'odore delle sue gambe, le rompe.
Fanno male tante cose. Prima di tutto le braccia e poi le mani.
Si schianta nell'aria densa e pesante.
Fa freddo ma il continuo andare e venire di quei piedi ha creato una cappa intorno a lei e a me.
Stiamo bruciando ma questo non fa male, non a noi.
La donna sale su ed emette un suono che sembra una richiesta di aiuto o di sopravvivenza. Guarda in su e poi ricomincia la sua corsa indecente verso di lui.
Fanno male anche le gambe adesso. Fa male la bocca ma ci baciamo. Che cosa staranno facendo gli alberi su quella montagna? Si amano. Noi ci amiamo.
Sale e scende, si schianta nell'aria, urla, lo bacia.
Il freddo, il fuoco, le foglie e poi il vento e ancora, ancora, ancora.
Quei due si amano, con l'aria nella pelle e nei capelli. Con le cose della vita che girano sopra la testa e non si fermano mai.
Ma chi lo sa cosa fanno gli alberi? Chi lo sa se le nostre cose sono meno importanti delle loro?
Scende, stavolta si ferma davanti a lui e non urla più.
Sta arrivando l'inverno, ghiacceranno i nostri occhi, saremo vagabondi in un mondo che ci ha abbandonati ma saremo io e te, e gli alberi.
Quei due si amano e non fanno niente per nasconderlo.
Una donna sale e scende le sue scale, senza fiato, senza affanno.
Le sue gambe sono le tue. Le mie gambe sono tue. Corro, corre.
Fanno male tante cose, tranne questa.