sabato 14 novembre 2015

Il mio diritto, il tuo pretesto



Se la mia presenza immobile su questa sedia potesse bastare a significare il nostro tutto, me ne starei qui, seduta, per sempre.
Devo, invece, spiegare delle cose a quelle persone che ci stanno guardando. Si sono messe in prima fila e so che non se ne andranno fino ai titoli di coda. Anzi, probabilmente resteranno lì a fissarci fino a che lo schermo non sarà definitivamente nero.
Che fatica, che stupida smania di comprendere.
Non so dire nemmeno a me, alla me che ogni tanto va giù in cantina, il perché di tante stranezze.
Strano è l'odore della mia pelle quando è vicina alla tua. Un odore aspro, dolce, imbarazzante. Devo spiegargli, a quei due che si sono accomodati proprio davanti a te, che non possiamo farne a meno. Che ci sono alcune cose che per quanto cerchiamo di evitare non possiamo controllare. Per quanto la testa, la mia, dica sempre no ho l'impressione che si stia abbandonando alla semplicità di un leggero sì. Leggero e scomodo. Per quanto il corpo, il mio, non abbia raggiunto una temperatura equilibrata mi sembra che voglia comunque restare qui, vicino a te.
Strana è questa giostra di mani che alzano l'aria.
Quando guardo la parte di cielo che hai scelto per me mi dico che forse non ne esiste un' altra. Nego a me stessa tutto il resto per credere che ci sia, nel mondo, soltanto quel giardino recintato.
Le carezze dovrebbero servire a questo. A escludere tutto quanto tranne quello che c'è, adesso, qui, in modo esclusivo. Dovrebbero incatenare la curiosità, nascondere la valigia, limitare la visuale. Le tue dovrebbero tenermi seduta qui e obbligarmi a dire soltanto a te quello che adesso sto cerando di spiegare a loro.
So che non avresti mai voluto lasciarmi fare questo ma voglio dirti che non hai nessuna colpa. Non ti giudicare per le notti passate a mordere i miei occhi, a soffiare sulle mie labbra, a cercare respiri pieni. Quei respiri che nemmeno loro adesso possono sentire. I respiri che abbiamo imparato a controllare, a mascherare, a fare nostri in modo assoluto.
Se tutte le nostre modalità potessero effettivamente essere spiegate potrei starmene qui, banalmente, e tutto verrebbe rivelato dalla posizione del mio corpo su questa sedia. Invece devo chiederti scusa. Scusa perché non so parlare con delle parole più misurate. Scusa perché non sono riuscita a preparare un discorso comprensibile ai più. Quello che posso fare è, per il momento, mettere insieme quelle cose che sono visibili a tutti e dirle senza vergogna provando a nascondere le fitte che ho allo stomaco. So che non avresti voluto lasciarmi fare questo. Ma vedi, cuore mio, guarda davanti a te. Lo vedi? Non siamo più da soli. Non più.


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