mercoledì 4 novembre 2015

Cambio di stagione



In questi momenti, quando penso a quelli che in qualche modo cercano un modo per capire, tendo a distaccarmi, ad allontanarmi il più possibile da questi pensieri. Supero il ricordo e cerco di rimetterlo al suo posto, come fanno quelle persone che sorridono forzatamente il secondo dopo che una catastrofe le ha investite. A quanto pare, questo, lo so fare bene. L'attimo dopo che un dubbio mi assale, prendo il pensiero in mano, lo analizzo quel tanto che basta per capire che non è il caso di farlo diventare un problema e lo nascondo in un angolo appositamente creato nella mia mente, l'angolo delle cose volutamente cancellate, l'angolo, quindi, delle vigliaccherie, quelle che prima o poi sbucano fuori e ti costringono a fare i conti con tutto. Così, anche questa volta, il pensiero di quelli che cercano una soluzione è stato rinchiuso e al suo posto è sbucato fuori il desiderio di costruire qualcosa con questi pezzetti di legno che ho trovato in mezzo al prato. Montare, accozzare pezzi di cose trovate qua e là mi fa venire in mente la suora, quella della montagna, e Pit, il ragazzino protagonista delle storie che mi raccontava mia nonna in quei pomeriggi seduti sulla panchina, vicino a quella casa dove aveva deciso di morire.
Il pettine bagnato sotto l'acqua, i capelli da una parte, i denti lavati, il borotalco messo. Per Pit la domenica era il giorno della camicia profumata. Si preparava tutte le volte allo stesso modo, tutte le volte con la stessa emozione. Fin da quando era davvero piccolo, la nonna gli aveva insegnato che per andare in chiesa bisognava rendersi presentabili e per questo motivo tutte le domeniche gli faceva trovare dentro l'armadio la camicia, la giacchetta blu e il pettine appoggiato sopra. Era contento, tutte le volte come fosse la prima, perché per lui, quello era il giorno pulito. Entrato in chiesa, si sedeva vicino al padre e alla nonna e in silenzio vedeva passare davanti a se tutti i personaggi delle sue favole. Immaginava i credenti come cavalieri di un paese sperduto diretti verso l'altare del re che con la sua spada conferiva le onoreficenze. Pit era fatto così, per provare piacere nelle cose, anche le più noiose, doveva immaginarle in un altro mondo, con altri personaggi, con altre storie. Nella sua mente, la suora seduta in prima fila era sempre la principessa più bella del reame. Tra tante ragazze che entravano, era sempre a lei che dava il ruolo più bello, ma non lo diceva a nessuno, avrebbero pensato male. Sapeva, dalle storie della nonna, che le suore e i preti non dovevano essere guardati in un certo modo, perché è a Dio che loro guardano ed è il cielo il loro regno. Tutte le volte, Pit entrava e la cercava, tutte le domeniche, per anni. Tornava a casa, si toglieva la camicia e con il legno che aveva a casa costruiva crocifissi, come quelli che portava lei. Li costruiva tutte le volte perché in cuor suo sperava un giorno di poterglieli regalare, senza guardarla in nessun modo, portarglieli come un cavaliere porta un dono alla sua principessa, senza ricompensa, senza doppi fini. Quella sua passione per gli oggetti era nata proprio una di quelle mattine in chiesa mentre guardava la sua meravigliosa dama. L'oggetto lo distraeva dal pensiero, lo estraniava dal problema, lo aiutava a realizzare l'idea e ad accantonarla nel cassetto.

E così le mie idee, anche oggi, ancora oggi, sono state messe all'angolo.
Che bella questa fionda.
Che bella.

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