In
questi momenti, quando penso a quelli che in qualche modo cercano un
modo per capire, tendo a distaccarmi, ad allontanarmi il più
possibile da questi pensieri. Supero il ricordo e cerco di rimetterlo
al suo posto, come fanno quelle persone che sorridono forzatamente il
secondo dopo che una catastrofe le ha investite. A quanto pare,
questo, lo so fare bene. L'attimo dopo che un dubbio mi assale,
prendo il pensiero in mano, lo analizzo quel tanto che basta per capire
che non è il caso di farlo diventare un problema e lo nascondo in
un angolo appositamente creato nella mia mente, l'angolo delle cose
volutamente cancellate, l'angolo, quindi, delle vigliaccherie, quelle
che prima o poi sbucano fuori e ti costringono a fare i conti con
tutto. Così, anche questa volta, il pensiero di quelli che cercano
una soluzione è stato rinchiuso e al suo posto è sbucato fuori il
desiderio di costruire qualcosa con questi pezzetti di legno che ho
trovato in mezzo al prato. Montare, accozzare pezzi di cose trovate
qua e là mi fa venire in mente la suora, quella della montagna, e
Pit, il ragazzino protagonista delle storie che mi raccontava mia
nonna in quei pomeriggi seduti sulla panchina, vicino a quella casa
dove aveva deciso di morire.
Il pettine bagnato sotto l'acqua, i
capelli da una parte, i denti lavati, il borotalco messo. Per Pit la
domenica era il giorno della camicia profumata. Si preparava tutte le
volte allo stesso modo, tutte le volte con la stessa emozione. Fin da
quando era davvero piccolo, la nonna gli aveva insegnato che per
andare in chiesa bisognava rendersi presentabili e per questo motivo
tutte le domeniche gli faceva trovare dentro l'armadio la camicia, la
giacchetta blu e il pettine appoggiato sopra. Era contento, tutte le
volte come fosse la prima, perché per lui, quello era il giorno
pulito. Entrato in chiesa, si sedeva vicino al padre e alla nonna e
in silenzio vedeva passare davanti a se tutti i personaggi delle sue
favole. Immaginava i credenti come cavalieri di un paese sperduto
diretti verso l'altare del re che con la sua spada conferiva le
onoreficenze. Pit era fatto così, per provare piacere nelle cose,
anche le più noiose, doveva immaginarle in un altro mondo, con altri
personaggi, con altre storie. Nella sua mente, la suora seduta in
prima fila era sempre la principessa più bella del reame. Tra tante
ragazze che entravano, era sempre a lei che dava il ruolo più bello,
ma non lo diceva a nessuno, avrebbero pensato male. Sapeva, dalle
storie della nonna, che le suore e i preti non dovevano essere
guardati in un certo modo, perché è a Dio che loro guardano ed è
il cielo il loro regno. Tutte le volte, Pit entrava e la cercava,
tutte le domeniche, per anni. Tornava a casa, si toglieva la camicia
e con il legno che aveva a casa costruiva crocifissi, come quelli che
portava lei. Li costruiva tutte le volte perché in cuor suo sperava
un giorno di poterglieli regalare, senza guardarla in nessun modo,
portarglieli come un cavaliere porta un dono alla sua principessa,
senza ricompensa, senza doppi fini. Quella sua passione per gli
oggetti era nata proprio una di quelle mattine in chiesa mentre guardava la sua meravigliosa dama. L'oggetto lo distraeva dal pensiero, lo
estraniava dal problema, lo aiutava a realizzare l'idea e ad
accantonarla nel cassetto.
E così le mie idee, anche oggi, ancora oggi, sono state messe all'angolo.
Che bella questa fionda.
Che bella.
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